La proposta prevede che gli antiabortisti possano operare nei consultori. La prossima settimana la Regione potrebbe tornare a discuterne. Ma c'è chi si oppone anche a destra, come la consigliera di Forza Italia Regina Bertipaglia: «Intacca la 194»
Quel progetto di legge aspetta dal dicembre 2004. Tre articoli che spianerebbero la strada ai volontari antiabortisti nelle strutture sanitarie che praticano l'interruzione volontaria di gravidanza. Un testo asciutto e senza fronzoli che punta a «regolamentare le iniziative mirate all'informazione sulle possibili alternative all'aborto», presentato dal Movimento per la Vita e sostenuto da ventimila firme. Non solo materiale informativo ma persone che scorazzerebbero nei consultori familiari, nei reparti di ginecologia e ostetricia, nelle sale d'aspetto e negli atri degli ospedali pronti a informare sui «rischi sia fisici che psichici cui si espone la donna con l'Ivg». E' stato abbastanza per attivare in Veneto una vasta rete di donne singole, associazioni, partiti e sindacati che il 7 ottobre 2006 hanno manifestato a Venezia in difesa della 194 e dei consultori.Nelle ultime settimane nella regione dove l'85% dei medici è obiettore in tema di aborto, sulla scia dell'iniziativa sulla moratoria proposta dal quotidiano Il Foglio e rilanciata anche dal capo dei vescovi Angelo Bagnasco, c'è chi chiede che il consiglio regionale calendarizzi al più presto la discussione di questo pdl passato per due volte al vaglio delle commissioni. Così hanno fatto soprattutto l'Udc, An e la Lega che del testo sono i più accesi sostenitori mentre in Forza Italia le posizioni sono più articolate tanto che, anche se non si è mai espresso pubblicamente, il presidente Giancarlo Galan non apprezzerebbe particolarmente l'iniziativa. «Ogni volta che il testo è stato affrontato per la discussione in commissione fuori dal palazzo della regione ci sono stati presidi e iniziative di disturbo», sottolinea Gemma Lunian consigliera comunale del Prc «per questo è importante riprendere in mano la protesta». Se è scontata la composizione del fronte nettamente contrario che annovera Rifondazione Comunista, Pdci e Verdi meno netta sembrerebbe la situazione nel neonato Pd veneto. «A suo tempo i colleghi allora Ds avevano assicurato il loro no», ricorda Lunian «ora staremo a vedere». Non è detto che il pdl, che tra l'altro prevede sanzioni a chi dovesse negare o intralciare l'operato alle associazioni fino alla revoca della possibilità di praticare gli aborti volontari, venga calendarizzato così in fretta e furia come chiesto. Il consiglio regionale si riunirà per la prima volta la prossima settimana ma prima c'è la discussione sul bilancio.Tra chi fa parte del fronte del no c'è la consigliera di Forza Italia Regina Bertipaglia «non ho dubbi sul fatto che sia una legge che va a intaccare la 194, una presenza dei volontari antiabortisti sarebbe invasiva nei confronti delle donne che hanno fatto la loro scelta». Bertipaglia pensa piuttosto a come consentire che i consultori lavorino meglio aumentando anche il lavoro di prevenzione, soprattutto sulla fascia delle giovanissime. E sottolinea come il Veneto sia una delle regioni con la più alta migrazione abortiva dovuta all'alto numero di medici obiettori di coscienza. Una conferma viene dal rapporto Istat 2006 che vede le donne venete andare in media dieci volte di più rispetto alle altre del nord-est ad abortire fuori regione. «Le donne sono costrette a questo triste pellegrinaggio per gli ospedali. Tante che hanno scelto di abortire magari alla quarta settimana si trovano a farlo quando non è più possibile rinviare - aggiunge ancora Bertipaglia - per questo io sono una sostenitrice dell'uso della Ru486 ( la pillola abortiva, ndr) con la dovuta cautela, con tutte le sicurezze ma sarebbe un modo per aggirare questo fenomeno dei medici obiettori».
Giulia Marcante
il manifesto 08/01/2008
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Aborto: in Veneto torna in pista la legge antiabortista
Ancora violenza...
Regione Veneto: il movimento per la vita torna all'attacco
Martina Guerrini DA 'IL PAESE DELLE DONNE' 10 gennaio 2008
Vi ricordate il Pdl del 2004 presentato alla Regione Veneto dal Movimento per la Vita? Ci risiamo. Sembra che questa rinnovata minaccia avvenga sull'onda della provocazione di Ferrara: da qualche giorno Udc, AN e Lega hanno chiesto nuovamente che il consiglio regionale calendarizzi al più presto la discussione del Pdl passato per due volte al vaglio delle commissioni.
Naturalmente che questo accada rapidamente come auspicato dalla Triplice Intesa dei Papa-ratzi è tutto da vedere. Il consiglio si riunirà per la prima volta la prossima settimana, ma prima c'è da votare il bilancio. Inoltre, esistono contraddizioni all'interno dei due partiti più mediatizzati del momento: l'ancora per poco "Forza Italia" e il neonato Pd.
Infatti assistiamo tragicamente a uno sconfortante dato (niente affatto imprevedibile, per chi scrive): appena "fondato" il Pd già mostra diverse posizioni rispetto al no univoco dei Ds di un anno fa. Del resto ancora mi chiedo il senso di aver eletto tra le proprie fila la Binetti (occorrerebbe un consulto urgentissimo di psichiatri in gamba per lei e per chi l'ha voluta).
Proprio in occasione del reiterato tentativo di introdurre antiaboristi all'interno dei consultori (perchè di questo si tratta) fu organizzata il 7 ottobre 2006 una risposta dura e refrattaria alla vergognosa operazione fascista del Movimento per la Vita, con una manifestazione a Venezia preparata e sostenuta da donne singole, collettivi femministi veneziani, reti femministe, partiti e sindacati.
Il Pdl prevede nei suoi tre articoli di "regolamentare le iniziative mirate alle informazioni sulle possibili alternative all'aborto" (come chiede del resto quel cinico provocatore guerrafondaio di Ferrara). Tutto ciò prevederebbe non solo la distribuzione di materiale informativo all'interno dei consultori, ma di fatto la scorribanda, le invettive terroristiche e le grida da caccia alle streghe degli antiaboristi all'interno dei consultori, dei reparti di ginecologia e ostetricia, nelle sale d'aspetto e negli atri degli ospedali. L'intento è quello di informare "sui rischi fisici e psichici cui si espone la donna con l'Ivg". Tutto questo, lo ricordo perché suona molto medioevale, in una regione in cui l'85% dei medici è obiettore in tema d'aborto: il Veneto ha quindi il triste primato di essere una tra le regioni con il più alto tasso di "migrazione abortiva". Il rapporto Istat 2006 informa che le donne venete vanno in media dieci volte di più ad abortire fuori regione, contro il resto del Nord-Est.
Testo Pdl3
PDL N. 3
Regolamentare le iniziative mirate all’informazione sulle possibili alternative all’aborto
Art.1.- Pubblicità
1. In ogni consultorio e nei reparti di ginecologia e ostetricia a finalità informativa deve essere esposto ben in vista il materiale informativo dei movimenti e delle associazioni legalmente riconosciute aventi come finalità l’aiuto alle donne in difficoltà orientate all’interruzione di gravidanza, sui rischi sia fisici che psichici a cui si espone la donna con l’interruzione di gravidanza e le possibile alternative all’aborto.
Art.2. – Divulgazione e informazione
1. Ai Movimenti e/o associazione di cui all’articolo 1 viene concesso di espletare il loro servizio di divulgazione e informazione nei consultori familiari,nei reparti di ginecologia e ostetricia, nelle sale d’aspetto e atri degli ospedali.
Art. 3 –Vigilanza
1. I direttori sanitari delle Asl e delle Aziende ospedaliere devono vigilare sul rispetto della legge.
2. Saranno prese sanzioni per chi dovesse negare o intralciare l’operato dei movimenti e/o associazioni di cui all’articolo 1 fino a revocare la pratica degli interventi di aborto volontario nelle strutture inadempienti.
3. Per chi dovesse negare o intralciare l’operato dei movimenti e/o associazioni di cui all’articolo 1, sono applicabili sanzioni da 500 a 5000 euro; l’eventuale reiterazione comporta la revoca della pratica degli interventi di aborto volontario nelle strutture inadempienti.
Risposta Pdl3
Perché una donna rimane incinta senza volerlo? Non porci questa domanda ci costringe a dare una risposta che forse non vorremmo: l’aborto. (In ‘Sessualità femminile e aborto’ Rivolta Femminile nel ’71 scrive: “Le donne abortiscono perché restano incinte. Ma perchè restano incinte? È perché risponde a una loro specifica necessità sessuale che effettuano rapporti con il partner in modo tale da sfidare il concepimento? La cultura patriarcale non si pone questa domanda poiché non mette dubbi sulle leggi ‘naturali’. Evita solo di chiedersi se in questo ambito ciò che è ‘naturale’ per l’uomo lo è altrettanto per la donna: lo dà per scontato e difende con ogni mezzo la sessualità dell’uomo patriarcale come sessualità ‘naturale’ per entrambi uomo e donna.
Ma noi sappiamo che quando una donna resta incinta e non lo voleva, ciò non è avvenuto perchè lei si è espressa sessualmente, ma perchè si è conformata all’atto e al modello sessuale sicuramente prediletti dal maschio patriarcale, anche se questo poteva significare per lei restare incinta e quindi dover ricorrere ad una interruzione di gravidanza. [...] Il piacere imposto dall’uomo alla donna conduce alla procreazione ed è sulla base della procreazione che la cultura maschile ha segnato il confine tra sessualità naturale e sessualità innaturale, proibita o accessoria e preliminare. [...] In un mondo costretto alla contraccezione e all’anti-procreazione noi dobbiamo assolutamente intervenire con la coscienza che la natura ci ha dotate di un organo sessuale distinto dalla procreazione e che è sulla base di questo che noi troveremo la nostra autonomia dall’uomo come nostro signore e dispensatore delle voluttà alla specie inferiorizzata, e svilupperemo una sessualità che parta dal nostro fisiologico centro del piacere, la clitoride.”)
Dire solo sì all’aborto senza rimettere in discussione il modello sessuale mantiene lo stato di cose come è. Ci dà solo l’illusione di poter scegliere quando invece siamo ancora succubi di un modello sessuale maschile. È per questo importante slegare l’atto erotico-sessuale dall’atto procreativo. Rimettere in discussione il coito come unica possibilità di espressione sessuale. Il sospetto è che il coito sia stato imposto perché procreativo. La sua assolutizzazione risponde solo al desiderio maschile, tanto più che il coito non corrisponde necessariamente all’orgasmo di lei. (Per fare un figlio non serve provare piacere). Il nostro piacere è complesso, vario e multiforme. Non si può ridurlo alla vagina. Abbiamo bisogno di ritrovarci per pensare la nostra sessualità in modo autonomo e libero. Fare autocoscienza per non farsi descrivere da altri, ma a partire da sé. Costringerci a scegliere la vagina come unico luogo di piacere ci rende impotenti perché il nostro piacere è molteplice. (Luce Irigaray in ‘Questo sesso che non è un sesso’ scrive: “La donna ha dei sessi un pò dovunque. Gode un pò dappertutto.” E ancora: “Quello che avrebbe potuto, dovuto sbalordire nella sessualità femminile, è la pluralità delle zone erogene genitali, volendo usare questo termine.”) Se non scopriamo il nostro corpo, il piacere che ci può dare senza rimanere incinte l’aborto non sarà altro che una conferma della nostra sudditanza. Ci interessa l’aborto quando non abbiamo coscienza della nostra sessualità o restiamo incinte perché ignoriamo la pluralità del nostro piacere? Identificare la propria lotta con quella per l’aborto relega, quindi, la donna nel sesso oppresso e riconferma la sua oppressione. Perché l’80% delle donne va da sola ad abortire? È un segno di libertà? Il problema dell’aborto apre così contraddizioni irrisolte e sottaciute, come il rapporto uomo-donna. Perché l’uomo non pensa l’aborto anche come un suo problema? Perché non si chiede: “Come mai ho costretto una donna a restare incinta senza volerlo?” Perché lei non è riuscita a dirgli quello che voleva? Domandiamoci perché anche gli uomini più progressisti hanno difficoltà a mettere in discussione il modello sessuale imposto (il coito).
Inoltre l’identificazione di cui parlavo prima esclude una parte di donne che vivono una sessualità imprevista, le lesbiche. (Il gruppo Soggettività Lesbica scrive: “Per noi lesbiche emerge allora l’inquietante sensazione di tornate ad essere invisibili nel ‘riemerso’ movimento delle donne, preso da una priorità - la difesa della legge 194 – che nei suoi effetti strettamente pratici potrebbe non riguardarci.
Siamo consapevoli invece che l’attacco a questa legge ci riguarda in quanto tentativo di riaffermare il controllo sul corpo delle donne e sul loro desiderio. E questo avrebbe una forte ricaduta anche sul nostro vivere quotidiano. In una cultura che cancella i corpi e le soggettività nella pretesa di legiferare in nome di astratte verità universali, per una lesbica sarà ancora più difficile vivere liberamente la propria sessualità.”) Credo sia utile non dividerci tra lesbiche e etero perché perdiamo forza, facciamo il loro gioco, ancora l’uomo come parametro, a chi piace e a chi non piace.
Chiedere l’aborto libero non significa rinnegare la possibilità della maternità, ma la maternità non può essere imposta. Costingere una donna ad una gravidanza indesiderata è un atto di violenza fatto sotto più punti di vista, ma innanzitutto rinnega la sua identità rendendola solo mezzo procreativo. Una donna non si identifica con una madre. Di fronte ad una donna che abortisce noi intravediamo una storia di sofferenza, le siamo vicine senza giudicarla. I movimenti di cui parla il pdl3 vogliono giudicare e puntare il dito, hanno un che di paternalistico. Se essere costrette all’aborto (nessuna credo voglia affrontare questa scelta) non ci rende libere non è inutile, per non dire crudele, colpevolizzare attraverso presunti aiuti da parte di associazioni confessionali antiabortiste? Così non le si dà il colpo di grazia? Come si può fare ideologia di fronte ad una donna che sta soffrendo?
Daniela Pietta
Volantino pdl3
L'ABORTO: UNA QUESTIONE DI DISSUASIONE O UNA QUESTIONE DI INFORMAZIONE?
Ha senso che operatori privi di una specifica preparazione abbiano l'autorità di giudicare la scelta di una donna? Non avrebbe invece più senso che una donna potesse conoscere a fondo il proprio corpo e la propria sessualità, in modo da evitare di trovarsi nella condizione di dover ricorrere all'aborto?
Per tutte noi, infatti, l'obiettivo è la diminuzione degli aborti. Ma questo è possibile solo attraverso un'adeguata informazione riguardo alla prevenzione. Si dovrebbe migliorare il servizio sanitario pubblico per favorire l'informazione sui metodi contraccettivi e sulla loro efficacia ed importanza. Bisognerebbe dunque finanziare maggiormente i consultori familiari e le attività di formazione (come l'educazione alla sessualità e all'affetto), affinché la donna prendesse coscienza del proprio corpo e della propria sessualità. Solo con questa consapevolezza una donna può esprimere liberamente i propri desideri senza che l'atto sessuale coincida con l'atto di procreazione.
Nonostante l'informazione e la consapevolezza, una donna potrebbe comunque trovarsi nella condizione di dover ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza. In questo caso una donna non ha bisogno di essere persuasa a non farlo, ma ha bisogno di appoggio e informazione, forniti da personale competente (come già previsto dalla legge 194!).
ESSERE DONNA NON VUOL DIRE SOLO ESSERE MADRE!
LA MATERNITA' E' UNA POSSIBILITA'. NON UN OBBLIGO!
NO AL PDL 3 VENETO!
Collettivo donne dell'università di Verona, BENAZIR
Libere
Libere...
LIBERE DI SCEGLIERE LIBERE DI AMARE
Dopo la legge sulla fecondità assistita, ci troviamo di fronte ad un ulteriore attacco alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza:il Pdl 3 un vergognoso progetto di legge regionale promosso dal movimento per la vita, che autorizza l’attività di organizzazioni confessionali ed antiabortiste nei consultori, sale d’aspetto e atri degli ospedali e nei reparti di ginecologia e ostetricia.
Questa legge è già stata approvata dalla quinta commissione consigliare a Luglio e verrà rivotata dal Consiglio Regionale il 1 Dicembre 2006.Hanno votato a favore il centrodestra, con l’eccezione di una consigliera di Forza Italia, e la Margherita.
La legge è composta da tre articoli: il primo si focalizza sulla questione della pubblicità e prevede che in ogni consultorio, reparto di ginecologia ed ostetricia, sale d’aspetto e atri degli ospedali venga esposto ben in vista il materiale informativo dei movimenti ed associazioni antiabortiste.
Il secondo articolo riguarda la divulgazione e prevede che questi movimenti offrano il loro servizio nei luoghi sopracitati.
Il terzo ed ultimo articolo prevede sanzioni per chi dovesse intralciare o negare l’operato di queste associazioni.
Nella relazione che precede questi tre articoli viene utilizzato quasi sempre il termine “mamma” anziché donna.Questo termine è molto riduttivo e offensivo:infatti si riduce la donna ad apparato procreativo senza tenere conto di come la donna sia innanzitutto donna e non necessariamente madre.
Sempre in questa introduzione vengono spiegati i motivi per i quali è stata proposta questa legge.Il movimento per la vita sostiene che da parte delle strutture pubbliche non ci sia sufficiente informazione riguardo alle alternative all’aborto; sottolinea inoltre come il Veneto sia la regione italiana con più interruzioni volontarie di gravidanza effettuate. In realtà queste informazioni sono parzialmente false come ci dimostra il fatto che, con l’entrata in vigore della 194 e con il lavoro di informazione svolto dai consultori, gli aborti in Italia siano calati del 43%.Se scorporiamo poi i dati adeguatamente, troviamo un calo delle ivg del 6% in Veneto per quanto riguarda le donne italiane: fanno mantenere i dati molto alti le donne immigrate che abortiscono tre volte di più di quelle italiane.Questo dato ci porta dunque ad una situazione più complessa che meriterebbe un’analisi più approfondita.
Inoltre nella legge non viene mai specificato che tipo di formazione debbano avere questi volontari per svolgere la loro attività.Dunque le donne si troveranno ad interloquire con persone non competenti in materia socio-sanitaria e pertanto la discussione sull’aborto verrà affrontata da un punto di vista ideologico.
Così facendo la salute della donna viene messa in secondo piano per dare spazio alla propaganda religiosa.
Tutto questo rappresenta un grave attacco alla laicità dello Stato e all’autodeterminazione della donna. Questi volontari si arrogano il diritto di essere portatori dell’unica vera morale.
Come donne crediamo che questa legge sia inaccettabile: una donna che si trova nella difficile condizione di un possibile aborto non ha certo bisogno di prediche moraliste ma di appoggio e vera informazione.
Crediamo, inoltre, che per diminuire le interruzioni volontarie di gravidanza serva più prevenzione, quindi più informazione sui metodi contraccettivi:solo così le donne saranno più consapevoli del loro corpo e della loro sessualità.
Martina e Ludmi