Perché una donna rimane incinta senza volerlo? Non porci questa domanda ci costringe a dare una risposta che forse non vorremmo: l’aborto. (In ‘Sessualità femminile e aborto’ Rivolta Femminile nel ’71 scrive: “Le donne abortiscono perché restano incinte. Ma perchè restano incinte? È perché risponde a una loro specifica necessità sessuale che effettuano rapporti con il partner in modo tale da sfidare il concepimento? La cultura patriarcale non si pone questa domanda poiché non mette dubbi sulle leggi ‘naturali’. Evita solo di chiedersi se in questo ambito ciò che è ‘naturale’ per l’uomo lo è altrettanto per la donna: lo dà per scontato e difende con ogni mezzo la sessualità dell’uomo patriarcale come sessualità ‘naturale’ per entrambi uomo e donna.
Ma noi sappiamo che quando una donna resta incinta e non lo voleva, ciò non è avvenuto perchè lei si è espressa sessualmente, ma perchè si è conformata all’atto e al modello sessuale sicuramente prediletti dal maschio patriarcale, anche se questo poteva significare per lei restare incinta e quindi dover ricorrere ad una interruzione di gravidanza. [...] Il piacere imposto dall’uomo alla donna conduce alla procreazione ed è sulla base della procreazione che la cultura maschile ha segnato il confine tra sessualità naturale e sessualità innaturale, proibita o accessoria e preliminare. [...] In un mondo costretto alla contraccezione e all’anti-procreazione noi dobbiamo assolutamente intervenire con la coscienza che la natura ci ha dotate di un organo sessuale distinto dalla procreazione e che è sulla base di questo che noi troveremo la nostra autonomia dall’uomo come nostro signore e dispensatore delle voluttà alla specie inferiorizzata, e svilupperemo una sessualità che parta dal nostro fisiologico centro del piacere, la clitoride.”)
Dire solo sì all’aborto senza rimettere in discussione il modello sessuale mantiene lo stato di cose come è. Ci dà solo l’illusione di poter scegliere quando invece siamo ancora succubi di un modello sessuale maschile. È per questo importante slegare l’atto erotico-sessuale dall’atto procreativo. Rimettere in discussione il coito come unica possibilità di espressione sessuale. Il sospetto è che il coito sia stato imposto perché procreativo. La sua assolutizzazione risponde solo al desiderio maschile, tanto più che il coito non corrisponde necessariamente all’orgasmo di lei. (Per fare un figlio non serve provare piacere). Il nostro piacere è complesso, vario e multiforme. Non si può ridurlo alla vagina. Abbiamo bisogno di ritrovarci per pensare la nostra sessualità in modo autonomo e libero. Fare autocoscienza per non farsi descrivere da altri, ma a partire da sé. Costringerci a scegliere la vagina come unico luogo di piacere ci rende impotenti perché il nostro piacere è molteplice. (Luce Irigaray in ‘Questo sesso che non è un sesso’ scrive: “La donna ha dei sessi un pò dovunque. Gode un pò dappertutto.” E ancora: “Quello che avrebbe potuto, dovuto sbalordire nella sessualità femminile, è la pluralità delle zone erogene genitali, volendo usare questo termine.”) Se non scopriamo il nostro corpo, il piacere che ci può dare senza rimanere incinte l’aborto non sarà altro che una conferma della nostra sudditanza. Ci interessa l’aborto quando non abbiamo coscienza della nostra sessualità o restiamo incinte perché ignoriamo la pluralità del nostro piacere? Identificare la propria lotta con quella per l’aborto relega, quindi, la donna nel sesso oppresso e riconferma la sua oppressione. Perché l’80% delle donne va da sola ad abortire? È un segno di libertà? Il problema dell’aborto apre così contraddizioni irrisolte e sottaciute, come il rapporto uomo-donna. Perché l’uomo non pensa l’aborto anche come un suo problema? Perché non si chiede: “Come mai ho costretto una donna a restare incinta senza volerlo?” Perché lei non è riuscita a dirgli quello che voleva? Domandiamoci perché anche gli uomini più progressisti hanno difficoltà a mettere in discussione il modello sessuale imposto (il coito).
Inoltre l’identificazione di cui parlavo prima esclude una parte di donne che vivono una sessualità imprevista, le lesbiche. (Il gruppo Soggettività Lesbica scrive: “Per noi lesbiche emerge allora l’inquietante sensazione di tornate ad essere invisibili nel ‘riemerso’ movimento delle donne, preso da una priorità - la difesa della legge 194 – che nei suoi effetti strettamente pratici potrebbe non riguardarci.
Siamo consapevoli invece che l’attacco a questa legge ci riguarda in quanto tentativo di riaffermare il controllo sul corpo delle donne e sul loro desiderio. E questo avrebbe una forte ricaduta anche sul nostro vivere quotidiano. In una cultura che cancella i corpi e le soggettività nella pretesa di legiferare in nome di astratte verità universali, per una lesbica sarà ancora più difficile vivere liberamente la propria sessualità.”) Credo sia utile non dividerci tra lesbiche e etero perché perdiamo forza, facciamo il loro gioco, ancora l’uomo come parametro, a chi piace e a chi non piace.
Chiedere l’aborto libero non significa rinnegare la possibilità della maternità, ma la maternità non può essere imposta. Costingere una donna ad una gravidanza indesiderata è un atto di violenza fatto sotto più punti di vista, ma innanzitutto rinnega la sua identità rendendola solo mezzo procreativo. Una donna non si identifica con una madre. Di fronte ad una donna che abortisce noi intravediamo una storia di sofferenza, le siamo vicine senza giudicarla. I movimenti di cui parla il pdl3 vogliono giudicare e puntare il dito, hanno un che di paternalistico. Se essere costrette all’aborto (nessuna credo voglia affrontare questa scelta) non ci rende libere non è inutile, per non dire crudele, colpevolizzare attraverso presunti aiuti da parte di associazioni confessionali antiabortiste? Così non le si dà il colpo di grazia? Come si può fare ideologia di fronte ad una donna che sta soffrendo?
Daniela Pietta
Risposta Pdl3
This entry was posted on 12.26.2007 and is filed under Pdl3. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response.
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