Due parole
Questa notte all'orecchio m'hai detto due parole.
Due parole stanche
d'esser dette. Parole
cosi' vecchie da esser nuove.
Parole cosi' dolci che la luna che andava
trapelando dai rami
mi si fermo' alla bocca. Cosi' dolci parole
che una formica passa sul mio collo e non oso
muovermi per cacciarla.
Cosi' dolci parole
che, senza voler, dico: "Com'e' bella la vita!"
Cosi' dolci e miti
che il mio corpo e' asperso di oli profumati.
Cosi' dolci e belle
che, nervose, le dita
si levano al cielo sforbiciando.
Oh, le dita vorrebbero
recidere stelle.
Alfonsina Storni (1892, Sala Capriasca 1938, Buenos Aires).
(Trad.Angelo Zanon Dal Bo)
Alfonsina Storni Martignoni (Sala Capriasca, 22 maggio 1892 – Mar del Plata, 25 ottobre 1938) è stata una poetessa, drammaturga e giornalista argentina, esponente del postmodernismo, morta suicida in mare, davanti alla spiaggia "La Perla".
Vado a dormire (ultima poesia prima del suicidio)
Denti di fiori, cuffia di rugiada,
mani di erba, tu, dolce balia,
tienimi pronte le lenzuola terrose
e la coperta di muschio cardato.
Vado a dormire, mia nutrice, mettimi giù.
Mettimi una luce al capo del letto
una costellazione; quella che ti piace;
tutte van bene; abbassala un pochino.
Lasciami sola: ascolta erompere i germogli...
un piede celeste ti culla dall'alto
e un passero ti traccia un percorso
perché dimentichi... Grazie. Ah, un incarico
se lui chiama di nuovo per telefono
digli che non insista, che sono uscita...
"Alfonsina y el mar" Canzone a lei dedicata dopo la morte
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Vestita di mare
Compagna quando amavamo
Quando ci amavamo distese tra le ombre in autunno?
I miei occhi fissi nel tuo sguardo
Il tuo sguardo che sempre allontanava il mondo
Quei pomeriggi quando ci coricavamo nelle nubi.
Mano nella mano passeggiavamo per le strade
Tra i bambini che giocavano a handball
I venditori e i loro sapori di carne bruciacchiata?
La gente guardava le nostre mani
Ci cercavano gli occhi e si sorridevano
Complici, in questo affare, dell’aria mite.
In un caffè o altro ci sedevamo molto vicine.
Ci piaceva tutto: le cantine annerite
La musica di Silvio, il rumore dei treni
E fagioli. Compagna,
Ritorneranno quei pomeriggi cupi quando ci amavamo?
Ti ricordi quando ti dicevo, toccami!
Quando la carne illesa cercava la carne e i denti, la bocca
Nei labirinti della tua bocca
Quei pomeriggi, isole non scoperte
Quando camminavamo fino alla riva.
Le mie dita lente percorrevano le colline dei tuoi seni
Attraversavano la pianura della tua spalla
I tuoi gelsi mi riempivano la bocca
L’antro bagnato e grondante.
Il tuo cuore nella mia lingua finanche nei miei sogni.
Due pescatori che nuotavano nei mari
Cercando la perla.
Non ti ricordi come ci amavamo, compagna?
Ritorneranno quei pomeriggi quando vacillavamo
Passi lunghi, mani intrecciate sulla spiaggia?
I gabbiani e le brezze
Due lesbiche vaghe nell’isola della mutua melodia.
Le tue tenere mani e i pianeti che cadevano.
Quei pomeriggi tinteggiati di rosso
Quando ci consegnavamo alle onde
Quando ci buttavamo
Sull’erba del parco
Due corpi di donna sotto gli alberi
Che guardavano le barche che attraversavano il fiume
Le tue ciglia che spazzavano il mio viso
Sonnecchiando, odoravo la tua pelle di papavero.
Due straniere al bordo dell’abisso
Io cadevo stordita sul tuo corpo
Sulle lune piene dei tuoi seni
Quei pomeriggi quando il mondo si cullava con il mio respiro
Due donne che diventavano una sola ombra ballerina
Quei pomeriggi camminavamo fino a quando i lampioni
Si accendevano nei viali.
Ritorneranno
Compagna, quei pomeriggi quando ci amavamo?
Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina
Prefazione
Postfazione
Da decretare da parte dell'Assemblea nazionale nelle sue ultime sedute oppure in quella della prossima legislatura.
Prefazione
Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di costituirsi in assemblea nazionale. Considerando che l'ignoranza, l'oblio o il disprezzo dei diritti della donna, sono le sole cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre in una dichiarazione solenne i diritti naturali inalienabili e sacri della donna, affinché tale dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro senza posa i loro doveri, affinché gli atti del potere delle donne e quelli del potere degli uomini, potendo essere in ogni momento comparati con il fine di ogni istituzione politica, ne siano più rispettati, affinché i reclami delle cittadine, fondati ormai su principi semplici e incontestabili, si volgano sempre al mantenimento della costituzione, dei buoni costumi, e alla felicità di tutti.
Di conseguenza, il sesso superiore in bellezza come in coraggio, nelle sofferenze materne, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell'Essere supremo, i seguenti Diritti della Donna e della Cittadina.
Articolo primo. La Donna nasce libera ed è eguale all'uomo nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull'utilità comune.
II.Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della Donna e dell'Uomo: tali diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza, e soprattutto la resistenza all'oppressione.
III.Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione, che non è altro che la riunione della Donna e dell'Uomo: nessun corpo, nessun individuo può esercitare una autorità che non ne derivi espressamente.
IV.La libertà e la giustizia consistono nel rendere tutto quello che appartiene agli altri; così l'esercizio dei diritti naturali della donna non ha limiti se non la tirannia perpetua che l'uomo gli oppone; questi limiti devono essere riformati dalle leggi della natura e della ragione.
V.Le leggi della natura e della ragione vietano tutte le azioni nocive alla società: tutto quello che non è vietato da queste leggi, sagge e divine, non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare quello che tali leggi non ordinano.
VI.La Legge deve essere l'espressione della volontà generale; tutte le Cittadine e Cittadini devono concorrere, personalmente o tramite loro rappresentanti, alla sua formazione; la legge deve essere eguale per tutti: tutte le Cittadine e tutti i Cittadini, essendo eguali ai suoi occhi, devono essere egualmente ammissibili ad ogni dignità, posto e impiego pubblico, secondo le proprie capacità; e senza altra distinzione che non sia quella delle loro virtù e dei loro talenti.
VII.Per nessuna donna si farà eccezione: la donna è accusata, arrestata, e detenuta nei casi determinati dalla Legge. Le donne obbediscono come gli uomini a tale Legge rigorosa.
VIII.La Legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie, e nessuno può essere punito se non in virtù d'una Legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata alle donne.
IX. Nel caso di ogni donna dichiarata colpevole la Legge eserciterà ogni rigore.
X. Nessuno deve essere infastidito per le proprie opinioni, anche fondamentali. La donna ha il diritto di salire sul patibolo; deve avere egualmente quello di salire sulla Tribuna; purché le sue manifestazioni non turbino l'ordine pubblico stabilito dalla Legge.
XI. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché tale libertà assicura la legittimazione dei padri nei confronti dei figli. Ogni Cittadina può dunque dire liberamente, sono madre d'un figlio che vi appartiene, senza che un barbaro pregiudizio la forzi a dissimulare la verità; salvo a rispondere dell'abuso di tale libertà nei casi determinati dalla Legge.
XII.La garanzia dei diritti della donna e della Cittadina necessita un'utilità maggiore; tale garanzia deve essere istituita per il vantaggio di tutti, e non per l'utilità particolare di coloro cui è data.
XIII.Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese d'amministrazione, i contributi della donna e dell'uomo sono eguali; la donna partecipa a tutti i servizi, a tutte le occupazioni penose; deve dunque partecipare egualmente alla distribuzione di posti, di impieghi, di cariche, di dignità e dell'industria.
XIV.Le Cittadine e Cittadini hanno il diritto di constatare di persona o tramite propri rappresentanti la necessità della contribuzione pubblica. Le Cittadine non possono aderirvi che grazie all'ammissione di una divisione eguale, non solo nella fortuna, ma anche nell'amministrazione pubblica, e di determinare la quota, l'imponibile, la copertura e la durata delle imposte.
XV.La massa delle donne, coalizzata per la contribuzione con quella degli uomini, ha il diritto di chiedere conto, a ogni agente pubblico, della sua amministrazione.
XVI.Ogni società, in cui non è assicurata la garanzia dei diritti, né è determinata la separazione dei poteri, non ha una costituzione; la costituzione è nulla, se la maggioranza degli individui che compongono la Nazione non ha cooperato alla sua redazione.
XVII. Le proprietà sono di tutti i sessi riuniti o separati; esse sono per ciascuno un diritto inviolabile e sacro; nessuno può esserne privato in quanto vero patrimonio della natura, se non quando la necessità pubblica, constatata legalmente, lo esiga a tutta evidenza, e a condizione di una giusta e preventiva indennità.
Postfazione
Donna, svegliati; la campana a martello della ragione si fa intendere in tutto l'universo; riconosci i tuoi diritti. Il potente imperio della natura non è più circondato di pregiudizi, di fanatismo, di superstizione e di menzogne. La fiaccola della verità ha dissolto tutte le nuvole della tupidità e dell'usurpazione. L'uomo schiavo ha moltiplicato le sue forze, ha avuto bisogno delle tue per spezzare le sue catene. Una volta libero, è divenuto ingiusto verso la sua compagna. O donne! Donne, quando cesserete di essere cieche? Quali sono i vantaggi che avete raccolto nella Rivoluzione? Un disprezzo più marcato, un disdegno più segnalato - che cosa dunque vi resta? La convinzione delle ingiustizie dell'uomo. Il reclamare il vostro patrimonio, fondato sui saggi decreti della natura; che cosa avrete da temere per una così bella impresa? La buona parola del Legislatore delle nozze di Cana? Temete che i nostri legislatori francesi, correttori di questa morale, a lungo aggrappata ai rami della politica, ma che non è più di stagione, vi ripetano: donne, che cosa c'è di comune tra voi e noi? Tutto, dovreste rispondere. Se si ostinano, nella loro debolezza, a mettere questa inconsequenzialità in contraddizione con i loro principi; opponete coraggiosamente la forza della ragione alle vane pretese di superiorità; riunitevi sotto gli stendardi della filosofia; dispiegate tutta l'energia del vostro carattere, e vedrete presto questi orgogliosi, non servili, adoratori rampanti ai vostri piedi, ma fieri di dividere con voi i tesori dell'Essere Supremo. Qualunque siano le barriere che vi si oppongono, è in vostro potere di affrancarle; dovete solo volerlo. Passiamo ora al quadro spaventoso di ciò che siete state nella società; e dato che si tratta, in questo momento, di una educazione nazionale, vediamo se i nostri saggi Legislatori penseranno in modo sano sull'educazione delle donne.
Le donne hanno fatto più del male che del bene. La costrizione e la dissimulazione sono state la loro divisione. Quel che la forza aveva loro sottratto, l'inganno glielo ha reso; hanno potuto ricorrere a tutte le risorse del loro fascino, cui neppure l'uomo più irreprensibile poteva resistere. Il veleno, il ferro, tutto era loro sottoposto; comandavano al crimine come alla virtù: il governo francese, soprattutto, è dipeso, per secoli, dall'amministrazione notturna delle donne; il gabinetto non aveva segreti per la loro indiscrezione: ambasciata, comando, ministero, presidenza, pontificato, cardinalato; infine tutto quello che caratterizza la stupidità degli uomini, profano e sacro, tutto è stato sottoposto alla cupidigia e all'ambizione di questo sesso nel passato disprezzabile e rispettato, e dopo la rivoluzione, rispettabile e disprezzato.
In questa sorta di antitesi, quanti rimproveri ho da offrire! Non ho che un momento solo per farli, ma questo fisserà l'attenzione della posterità, anche la più arretrata. Sotto l'antico regime, tutto era vizioso, tutto era colpevole; ma si potrebbe percepire il miglioramento delle cose nella sostanza stessa dei vizi? Una donna non aveva bisogno che d'esser bella o amabile; quando possedeva queste due qualità, vedeva cento fortune ai suoi piedi. Se non ne approfittava, quella aveva un carattere bizzarro, o una filosofia poco comune, che la portava al disprezzo delle ricchezze; allora non era considerata che una testa malvagia; la più indecente si faceva rispettare con l'oro; il commercio delle donne era una specie di industria ammessa all'interno della prima classe, che, d'ora in avanti, non avrà più credito.
Se ne avesse ancora, la rivoluzione sarebbe perduta, e pur sotto nuovi rapporti, saremmo sempre corrotti; tuttavia la ragione può dissimularsi nel fatto che ogni altra strada verso la fortuna è chiusa per la donna che l'uomo compra, come lo schiavo sulle coste d'Africa.
La differenza è grande, si sa. La schiava comanda al padrone; ma se il padrone le concede la libertà senza ricompensa, e a un'età in cui la schiava ha perso ogni suo fascino, cosa diventa questa sfortunata? L'oggetto di disprezzo; le stesse porte della beneficenza le sono chiuse; è povera e vecchia, si dice; perché non ha saputo fare fortuna? Altri esempi ancora più toccanti si offrono alla ragione. Una giovane senza esperienza, sedotta da un uomo che ama, abbandonerà i suoi genitori per seguirlo; l'ingrato la lascerà dopo qualche anno, e più la donna sarà invecchiata con lui, tanto più la di lui incostanza sarà inumana; se anche ha dei bambini, lui l'abbandonerà lo stesso. Se l'uomo è ricco, si crederà dispensato dal dividere la sua fortuna con le sue nobili vittime. Se qualche impegno l'ha legato ai suoi doveri, ne violerà il potere confidando tutto nelle leggi. Se è sposato, ogni altro impegno perde i suoi diritti. Quali leggi restano da fare per estirpare il vizio fino alla radice? Quella della divisione delle fortune tra gli uomini e le donne, e dell'amministrazione pubblica. Si concede facilmente che colei che proviene da una famiglia ricca, guadagni molto con l'uguaglianza della divisione. Ma colei che proviene da una famiglia povera, con meriti e virtù; qual è il suo destino? La povertà e l'obbrobrio. Se non eccelle precisamente nella musica o nella pittura, non potrà essere ammessa ad alcuna funzione pubblica, anche quando ne abbia tutte le capacità. Non voglio che dare un assaggio delle cose, le approfondirò nella nuova edizione di tutte le mie opere politiche che mi propongo di offrire al pubblico entro qualche tempo, con alcune note. Riprendo il mio testo per quanto attiene ai costumi. Il matrimonio è la tomba della fiducia e dell'amore. La donna sposata può dare impunemente a suo marito dei bastardi, e la fortuna che non appartiene loro. Quella che non lo è, non ha che un debole diritto: le leggi antiche e disumane le rifiutano questo diritto, per i propri figli, al nome e ai beni del loro padre, e non si sono fatte nuove leggi su questa materia.
Se tentare di dare al mio sesso una consistenza onorevole e giusta, è considerato in questo momento un paradosso da parte mia, e tentare l'impossibile, lascio agli uomini a venire la gloria di trattare questa materia; ma, nell'attesa, la si può preparare attraverso l'educazione nazionale, attraverso la restaurazione dei costumi e attraverso le convenzioni matrimoniali.
Forma del contratto sociale dell'Uomo e della Donna
Noi N e N, mossi dalla nostra propria volontà, ci uniamo fino al termine della nostra vita, e per la durata delle nostre mutue inclinazioni, alle condizioni seguenti: intendiamo e vogliamo mettere le nostre fortune in comunità, riservandoci tuttavia il diritto di separarle in favore dei nostri figli, e di quelli verso cui possiamo avere un debole particolare, riconoscendo mutuamente che i nostri beni appartengono direttamente ai nostri figli, da qualunque letto provengano, e che tutti indistintamente hanno il diritto di portare il nome dei padri e madri che li hanno avuti; e ci imponiamo di sottoscrivere la legge che punisce l'abnegazione del proprio sangue. Ci obblighiamo ugualmente, in caso di separazione, di dividere la nostra fortuna, e di prelevare la porzione dei nostri figli indicata dalla legge; e in caso di unione terminata, colui che verrà a morire, rinuncerà alla metà delle sue proprietà in favore dei figli; e se l'uno morirà senza figli, chi sopravvive erediterà di diritto, a meno che colui che premuore non abbia disposto della metà del bene comune in favore di chi giudicherà in proposito.
Ecco pressappoco la formula dell'atto coniugale di cui propongo l'esecuzione. Alla lettura di questo scritto bizzarro, vedo alzarsi contro di me i bacchettoni, i puritani, il clero e tutta la sequela infernale. Ma in che misura ciò offrirà ai saggi quanto ai mezzi morali per arrivare alla perfettibilità di un governo onorato! Ne vado a dare in poche parole la prova fisica. Il ricco Epicureo senza figli trova ottima cosa andare presso il suo vicino povero ad aumentare la sua famiglia. Quando ci sarà una legge che autorizzerà la donna del povero a far adottare al ricco i suoi figli, i legami della società saranno rafforzati, e i costumi più moralizzati. Questa legge conserverà, può darsi, il bene della comunità, e conserverà il disordine che conduce tante vittime negli ospizi dell'orrore, della bassezza e della degenerazione dei principi umani dove, da tempo, geme la natura. Che i detrattori della sana filosofia cessino dunque di protestare contro i costumi primitivi, ove si vanno a perdere dentro la fonte delle loro citazioni 2 .
Vorrei anche una legge che avvantaggiasse le vedove e le signorine ingannate dalle false promesse di un uomo a cui queste si siano attaccate; vorrei, dico, che questa legge forzasse un incostante a mantenere i suoi impegni, o a un'indennità proporzionata alla sua fortuna. Vorrei ancora che questa legge fosse rigorosa contro le donne, almeno per quelle che avranno la faccia di ricorrere a una legge che avrebbero infranto con la loro cattiva condotta, se fossero state messe alla prova. Vorrei, allo stesso tempo, come ho esposto nella felicità primitiva dell'uomo, nel 1788, che le ragazze pubbliche fossero poste nei quartieri designati. Non sono le donne pubbliche che contribuiscono più alla depravazione dei costumi; queste sono le donne della società. Recuperando le ultime, si modificano le prime. Questa catena d'unione fraterna offrirà in un primo tempo il disordine, ma in seguito, produrrà alla fine un insieme perfetto.
Offro un mezzo invincibile per elevare l'anima delle donne; è di unirle a tutti gli esercizi dell'uomo: se l'uomo si ostina a trovare questo mezzo impraticabile, che egli divida la sua fortuna con la donna, non a suo capriccio, ma attraverso la saggezza delle leggi. Il pregiudizio cade, i costumi si moralizzano, e la natura riprende tutti i suoi diritti. Metteteci pure il matrimonio dei preti; il re, rinforzato sul suo trono, e il governo francese non saprà più perire.
Sarebbe ben necessario che dicessi qualche parola sui turbamenti che causa, si dice, il decreto il favore degli uomini di colore, nelle nostre isole. Si ha dove la natura freme d'orrore; si ha dove la ragione e l'umanità, non hanno ancora toccato le anime indurite; si ha soprattutto dove la divisione e la discordia agitano i loro abitanti. Non è difficile indovinare gli istigatori di questi fermenti incendiarii: ve ne sono anche in seno all'Assemblea Nazionale: essi accendono in Europa il fuoco che deve abbracciare l'America. I coloni pretendono di regnare da despoti su uomini di cui sono i padri e i fratelli; e disconoscendo i diritti della natura, ne cercano la fonte fino nella più piccola tinta di loro sangue. Questi coloni inumani dicono: il nostro sangue circola nelle loro vene, ma lo disperdiamo tutto, se è necessario, per saziare la nostra cupidigia, o la nostra cieca ambizione. È in questi luoghi, i più vicini alla natura, che il padre disconosce il figlio; sordo ai richiami del sangue, ne soffoca ogni fascino; cosa si può sperare della resistenza che gli si oppone? Reprimerla con la violenza, è renderla terribile; lasciarla ancora nei ferri, significa instradare tutte le calamità verso l'America. Una mano divina sembra diffondere attraverso tutto l'appannaggio dell'uomo, la libertà; la legge sola ha il diritto di reprimere questa libertà, se degenera in licenza; ma deve essere uguale per tutti, è questa che l'Assemblea Nazionale deve racchiudere nel suo decreto, dettato dalla prudenza e dalla giustizia. Possa la legge agire anche per lo stesso della Francia, e rendersi allo stesso modo attenta ai nuovi abusi, come lo è stata con gli antichi, che divengono ogni giorno più spaventosi! Mia opinione sarà ancora di riconciliare il potere esecutivo con il potere legislativo, perché mi sembra che l'uno sia tutto, e l'altro non sia niente; da ciò deriverà, sfortunatamente, può darsi, la perdita dell'Impero francese. Considero questi due poteri come l'uomo e la donna 3 , che devono essere uniti, ma uguali in forza e in virtù, per bene amministrare.

[1] Da Parigi al Perù, dal Giappone fino a Roma, l'animale più stupido, a mio avviso, è l'uomo.
[2] Abramo ebbe figli molto legittimi da Agar, serva di sua moglie.
[3] Alla straordinaria cena di M. de Merville, Ninon domanda: chi è l'amante di Luigi XVI? Le si risponde, è la Nazione; questa amante corromperà il governo, se prende troppo imperio.
Olympe de Gouges (Montauban, 7 maggio 1748 – Parigi, 3 novembre 1793) è stata una drammaturga e giornalista francese che visse durante la rivoluzione francese e lottò affinché le donne ottenessero gli stessi diritti degli uomini.
Nel 1791 pubblicò la dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina in cui dichiarava l'uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna. Nel 1793 fu ghigliottinata perché si era opposta all'esecuzione di Luigi XVI e aveva osato attaccare Robespierre.
Informazione da Wikipedia
Gender and vision : il ruolo femminile all'interno di tales di Henry James
In some of James’s tales female characters appear to complement and counterbalance the male characters. To better comprehend many of James’s themes one can study the relationship between man and woman within different stories. This is not one of James’s main themes, but it can help with the comprehension of aspects such as: intimity, self-understanding, reification, otherness which are somehow linked to “vision”.
Analizing this relationship between the sexes throughout James’s tales some aspects of this “vision” will become apparent through a gender-based perspective.
In “The Aspern papers” the male character of the editor tries to enter the private world of a woman (Juliana) through another woman (her niece Tita), using her to obtain his objective. The editor establishes with Tita a relationship based on seduction, driving her towards himself.
I laid my hand on her arm, across the table, to stay her a moment.
What I want of you is a general promise to help me (98)
You might do a few things that I like (86)
He creates an intimity which is not the final objective but a means and which is not a guarantee of truth within the relationship.
In fact the relationship is based on his lies since he uses the woman as an instrument or even worse he doesn’t see her at all, blinded by his obsession. He considers her an object but she is in love with him so the relashionship is both opportunistic and asymmetric. The way the editor wants to possess Juliana’s private world (where his objective lies) is his gaze: to see his objective, penetrating the private feminine world is synonim for him of appropriation.
I turned my eyes all over the room, rummaging with them the closets, the chests of drawers, the tables. (109)
The identity between vision and possession turns out to be impossible at the end of the story: the desired object gets destroyed and Tita gets away from being completely abused and possessed. Maybe this impossibility of uniting vision and possession is due to woman’s nature: man’s eye can’t see the feminine’s sex organ entirely, so he can’t possess her completely.
In “The Beast in the Jungle”, as well as in “The Aspern Papers”, the relashionship between man and woman doesn’t come to a complete fulfillment although intimity is stronger in the first one and more sincere. There is still a big limitation in the relationship due to the self-centration of the male character (John Marcher). He still doesn’t see/conceive the female character (May Bartram) in her entirety as a person.
He was careful to remember that she had, after all, also a life of her own, with things that might happen to her, things that in friendship one should likewise take account of. (312)
He was quite ready, none the less, to be selfish just a little.
“Just a little”, in a word, was just as much as Miss Bartram, taking one day with another, would let him. (313)
May is fondamental for John in order to understand an obscure matter that he alone isn’t able to achieve. Their conversation is often about that matter only. She has the function of a listener, she helps him, advises him but John wants something from her, not her.
I understand you. I believe you. (310)
John Marcher asks her to watch toghether, identifying vision and comprehension: to see toghether means understand toghether the mistery that links them.
“Oh then, I’m to be present?” “Why, you are present-since you know.” “I see.” (310)
“It will only depend on yourself-if you’ll watch with me.” (310)
“Then you will watch with me?” “(…) If you watch with me you’ll see.” (311)
She, unlike him, succeeds in seeing.
So she had seen it, while he didn’t (…). (339)
The secret turns out to be her death which represents his incapacity of seeing and understanding, of seeing toghether because he has never seen her in her entirity. By the way, May dies in April, the month between March and May, in fact her death is the unknown matter that links Marcher and May.
In “The Jolly Corner” the male protagonist, Spencer Brydon comes to a consciousness thank only to the female character, Alice Staverton. He is obsessed by the idea of what he might have been and this possibility takes shape in a presence that he meets one night. Although he sees him with his eyes, vision is not sufficient to comprehension. He can’t realise that there is no identity between him and his phantasmagoria. It’s Alice Staverton, a woman, who states the difference between reality and imagination. This happens in a love relationship, it’s her love that states the difference: he is what he is because he is loved by her. Self-consciousness is possible thanks to her.
“There’s somebody-an awful beast (…). But it’s not me.” “No,-it’s not you.” (367)
He had been miracolously carried back. (365)
“You brought me literally to life(…)” (366)
Only in this last tale the relationship becomes complete. The female character has a great role in creating the possibility of a relationship in which the other is seen entirely. This is the way by which one can have a comprehension of the reality and of the self.
Beatrice
Isoke
Testo poetico nel romanzo AKARA OGUN
Con alcuni versi in nostratico, la prima lingua del genere umano
I wewe we
ti amo nelle tua lingua
e nei giovani tratti del tuo corpo
nelle semplici incertezze del tuo dire
nell'espressione dei tuoi occhi illuminati dai tramonti di un villaggio lontano
con i riti di tuo nonno
che traccia a fuoco sul tuo viso e sul tuo petto
il segno indelebile di una identità.
I wewe we
ti amo nella tua lingua
che nessuno usa per scrivere poesie
che è povera cosa
per dire l'essenziale la famel a povertà il sogno la disperazionee
tutto ciò che ti sei portata dietro senza bisogno di valige o di falsi documenti nel tuo migrare.
Ti amo nella tua lingua
con cui altri ti insultano ti minacciano ti spaventano
perché tu sei qui con quei segni sul viso e sul petto
marchio indelebile della tua schiavitù
che ti rende serva di ognuno e femmina di tutti.
I wewe we
per questo ti amo nella tua linguae
ti racconto una vita diversa
I wewe we
mia Eva nera primate selvatico e tenero
che piange piccole lacrime se non mi capisce,
ma gode con me un piacere eterno
e traccia a fuoco nella mia anima il segno indelebile del nostro amore
e della nostra schiavitù di esseri terreni in viaggio mano nella mano,
una mano ruvida in una mano stanca,alla ricerca di un guado.
Kelha wetei akun khala
Kalay palheka na weta
Sa da akeeja ala
Jako pele tuba were [nota]
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempoessa ci conduce alla dimora dei nostri antenati ma coloro che hanno paura delle acque profonde non potranno mai raggiungerla.
I wewe we.
Tratto dal blog de "La ragazza di Benin city"
Il Progetto "La ragazza di Benin City" è un esempio unico al mondo di riscatto umano, politico, sociale e culturale. Nelle sue articolazioni mette insieme uomini che sono o sono stati clienti di prostitute e donne prevalentemente immigrate che sono o sono state vittime della tratta.
Lavoro
"Lo chiamano Amore.Noi lo chiamiamo lavoro non retribuito.La chiamano frigidtà.Noi la chiamiamo assenteismo.Ogni volta che ci mettono incinte contro la nostra volontà, è un incidente sul lavoro.Ma l'omossessualità è il controllo degli operai sulla produzione, non la fine del lavoro.Più sorrisi?Più soldi.Niente sarà più efficace per distruggere le virtù di un sorriso.Nevrosi, suicidio, dessessualizzazione : malattie professionali della casalinga."
Silvia Federici "Il diritto all'odio"
"Il lavoratore ha la risorsa della sindacalizzazione, dello sciopero; le madri sono isolate l'una dall'altra,nelle proprie case, legate strette ai bambini da modi misericordiosi.I nostri scioperi piùselvaggi si manifestano più spesso sotto forma di dis-astri fisici o mentali."
Adrienne Rich "Nascere di una donna" 1980
Luce Irigaray
QUANDO LE NOSTRE LABBRA SI PARLANO
[...]
Se noi continuamo a “parlare il medesimo”, se ci parliamo come gli uomini si parlano da secoli, come ci hanno insegnato a parlare non ci incontreremo.[...] L’involucro è appropriato, ma non è il nostro. Involtate, o violate, nei nomi propri. Non il tuo nè il mio. Noi non ne abbiamo. Cambia, ogni volta che ci scambiano, a seconda che ci usano. Dicono che siamo vogliose d’essere così mutevoli, permutabili da loro.
Come toccarti se tu non ci sei?[...] Loro possono parlarsi, anche di noi. Ma noi? Esci dal loro linguaggio. Prova a riattraversare i nomi che ti hanno dato. Ti aspetto, mi aspetto. Ritornano. Non è difficile. Rimani qui e non astrai in scene già recitate, in frasi già dette e ridette, in gesti già conosciuti. In corpi già codificati. Cerchi di stare attenta a te stessa. A me. Senza lasciare distrarti dalla norma, o dall’abitudine.
[...]
Luminose, noi. Senza una, nè due. Non sono mai riuscita a contare. Fino a te. Saremmo due secondo i loro calcoli. Due, veramente? Non è da ridere? Strano due. Però non una. Soprattutto non una. L’uno, che se lo tengano. Il privilegio, il dominio, il solipsimo dell’uno: anche del sole. E la strana suddivisione delle loro coppie, dove l’altro è l’immagine dell’uno. Immagini soltanto. Andare verso l’altro è come essere attratti dallo specchio.
[...]
Dovremmo essere- già questo è troppo- delle indifferenti.
Indifferente, rimani calma, se ti muovi, disturbi il loro ordine. Fai cadere tutto. Rompi il giro delle loro abitudini, il circuito dei loro scambi, del loro sapere,del loro desidero. Del loro mondo. Indifferente, non devi muoverti né commuoverti, se non sono loro a chiamarti.
[...]
Dunque, noi saremmo indifferenti. Non ti fa ridere? Almeno così di primo acchito? Indifferenti, noi? [...]Non differenti, è vero. Insomma... e quel “non” che ci separa ancora per misurarci. Così disgiunte, nessun noi. Simili? Se si vuole. Un pò astratto. Non capisco bene: simili. Tu capisci? Simili agli occhi di chi? In funzione di che cosa? Quale unità di misura? Quale terzo termine? Mi tocco, mi basta per sapere che sei il mio corpo.
Ti amo: le nostre due labbra non possono separarsi per lasciar passare una parola. Una parola che direbbe te o me. O: uguali. Chi ama, chi è amata. Esse dicono – chiuse e aperte, senza che l’una escluda mai l’altra – l’una e l’altra si amano. Insieme. Per produrre una parola esatta, dovrebbero tenersi scostate,. Nettamente scostate l’una dall’altra. Distanti l’una dall’altra, e tra loro una parola. Ma da dove verrebbe questa parola? Tutta corretta, ben fatta. Neanche una fessura.. Tu. Io. C’è di che ridere... senza fessura, non sarebbbe più te nè me. Senza labbra, non sarebbe noi.
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Ti amo – e che mi importano là dove ti amo le discendenze dei nostri padri e i loro desideri di sembianze d’uomo. E le loro istituzioni genealogiche - né marito né moglie. Nessuna famiglia. Nessun personaggio, ruolo, funzione – le loro leggi riproduttive. Ti amo: il tuo corpo là qui ora. Io/tu ti/mi tocchi, può bastare perché ci sentiamo vivere .
Apri le tue labbra, non aprirle semplicemente. Non le apro semplicemente. Tu/io non siamo né aperte né chiuse. [...] Esse non si distinguono. Non significa che si confondano. Non ci capite niente? Neanche loro capiscono voi.
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Parla ugualmente. Che il tuo linguaggio non abbia un filo unico, un’unica sequenza, un’unica trama, è la nostra fortuna. Viene da ogni parte. Mi tocchi in ogni parte. In tutti i sensi. Un canto, un discorso, un testo tutti in una volta, perché? Per sedurre, colmare coprire uno dei miei “buchi”? Non ne ho con te. Le crepe, i vuoti che invocherebbero dall’altro sussistenza, pienezza, completezza, non siamo noi. Che per le nostre labbra siamo donne, non vuol dire che mangiare, consumare, riempirci sia quello che cerchiamo.
Baciami. Due labbra baciano due labbra: l’aperto ci è reso. Il nostro “mondo”. Tra noi il passaggio da dentro a fuori, da fuori a dentro, non ha limiti.[...] Insoddistatte noi? Sì, se vuol dire che non siamo mai finite. Che il nostro piacere è di muoverci, commuoverci, continuamente. Sempre in movimenti: l’aperto non si esaurisce né si riempie.
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Tu/io si sdoppia dunque per piacere loro. Ma così divise in due – una fuori, una dentro- tu non ti baci più. Non mi baci più. Fuori cerchi di conformarti ad un ordine che ti è estraneo.
[...] Non c’è, tra noi, nessuna rottura tra vergine e non vergine. Nessun avvenimento che ci farebbe donna. Molto prima di nascere già ti tocchi, innocente. Il sesso del tuo/mio corpo non ci viene da un operazione. [...] Senza interventi o manipolazioni particolari sei già donna. [...] Secondo [la loro economia] essere vergine significa non essere ancora contrassegnata per e da loro.Non ancora (resa) donna da e per loro. [...]
Come dirlo? Che noi siamo donne subito. Non abbiamo da esser rese tali, nominate per tali, consacrate e profanate come tali, da loro.Lo eravamo già , era già successo prima, senza il loro lavoro. [...] la loro patria, con famiglia, focolare e discorso, ci imprigiona tenendoci al chiuso e impedendoci di muoverci.[...] Le loro parole, il bavaglio delle nostre labbra.
Come parlare per uscire dai loro recinti, schemi, dalle loro distinzioni e opposizioni: vergine/deflorata, pura/impura, innocente/maliziosa...[...] Come sgusciare, vive, dalle loro concezioni?
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Mentre le nostre labbra tornano rosse. Si muovono, vogliono parlare. Stavi dicendo? Cosa? Niente. Tutto. Sì. Abbi pazienza. Dirai tutto. Comincia con quello che senti, adesso, subito. Il tutto verrà di seguito.
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L’erezione non è affare nostro: stiamo così bene sulle spiagge. Abbiamo tanti spazi da distribuirci .
[…] Il cielo non è lassù è tra noi.
Perchè parlare, mi dirai tu? Sentiamo le stesse cose nello stesso momento.
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Se non inventiamo un linguaggio, se non troviamo il suo linguaggio, il nostro corpo avrà troppo pochi gesti per accompagnare la nostra storia.
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Il tuo corpo ricorda non occorre che tu ricordi.
[…]
Sii quello che diventi, senza attaccarti a quello che avresti potuto essere, a quello che potresti essere. Senza essere mai fissata. Lasciamo le cose decisive agli indecisi. Noi non abbiamo bisogno del definitivo.[…]la loro “verità” ci immobilizza, ci pietrifica, se non ce ne distacchiamo.
[...]
Parla ugualmente. Tra noi il “duro” non è necessario. Conosciamo abbastanza i contorni dei nostri corpi per amare la fluidità.
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Bisogna proprio che impariamo a parlarci per riuscire a baciarci da lontano.
[...]
Non piangere un giorno riusciremo a dirci. E quello che diremo sarà più bello delle nostre lagrime.
Fluidissime.
[…]
Tu non sei in me. Non ti contengo né ti trattengo: nel mio ventre, tra le mie braccia, nella mia testa.[…] Sei lì, come la vita della mia pelle. […] Che tu viva mi fa sentir vivere, purchè tu non sia né la mia replica né la mia imitazione.
[…]
Sei sempre commossa per la prima volta, non ti immobilizzi in nessuna forma di ritorno. […]
Senza modello, senza unità di misura, non diamoci mai ordine[…]
Voglio restare notturna e ritoccare in te la mia notte. Dolcemente luminosa.
[…]
Nonostante le molte costrizioni artificiali di spazio e di tempo, io –continuamente- ti abbraccio. Che gli altri ci facciano feticci, per serararci, è affare loro. [...]
E se tante volte insisto: non, né, senza... è per ricordarci che noi non ci tocchiamo se non nude. E che per ritrovarci così, abbiamo molto da svestirci. Da tante rappresentazioni e apparenze, che ci allontanano l’una dall’altra. Ci hanno così a lungo avvolte secondo il loro desiderio, ci siamo così spesso agghidate per piacere loro, che abbiamo dimenticato la nostra pelle. Fuori dalla nostra pelle, restiamo distanti.
Tu ed io scostate.
[...]
Luce Irigaray