Luce Irigaray

QUANDO LE NOSTRE LABBRA SI PARLANO

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Se noi continuamo a “parlare il medesimo”, se ci parliamo come gli uomini si parlano da secoli, come ci hanno insegnato a parlare non ci incontreremo.[...] L’involucro è appropriato, ma non è il nostro. Involtate, o violate, nei nomi propri. Non il tuo nè il mio. Noi non ne abbiamo. Cambia, ogni volta che ci scambiano, a seconda che ci usano. Dicono che siamo vogliose d’essere così mutevoli, permutabili da loro.
Come toccarti se tu non ci sei?[...] Loro possono parlarsi, anche di noi. Ma noi? Esci dal loro linguaggio. Prova a riattraversare i nomi che ti hanno dato. Ti aspetto, mi aspetto. Ritornano. Non è difficile. Rimani qui e non astrai in scene già recitate, in frasi già dette e ridette, in gesti già conosciuti. In corpi già codificati. Cerchi di stare attenta a te stessa. A me. Senza lasciare distrarti dalla norma, o dall’abitudine.
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Luminose, noi. Senza una, nè due. Non sono mai riuscita a contare. Fino a te. Saremmo due secondo i loro calcoli. Due, veramente? Non è da ridere? Strano due. Però non una. Soprattutto non una. L’uno, che se lo tengano. Il privilegio, il dominio, il solipsimo dell’uno: anche del sole. E la strana suddivisione delle loro coppie, dove l’altro è l’immagine dell’uno. Immagini soltanto. Andare verso l’altro è come essere attratti dallo specchio.
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Dovremmo essere- già questo è troppo- delle indifferenti.
Indifferente, rimani calma, se ti muovi, disturbi il loro ordine. Fai cadere tutto. Rompi il giro delle loro abitudini, il circuito dei loro scambi, del loro sapere,del loro desidero. Del loro mondo. Indifferente, non devi muoverti né commuoverti, se non sono loro a chiamarti.
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Dunque, noi saremmo indifferenti. Non ti fa ridere? Almeno così di primo acchito? Indifferenti, noi? [...]Non differenti, è vero. Insomma... e quel “non” che ci separa ancora per misurarci. Così disgiunte, nessun noi. Simili? Se si vuole. Un pò astratto. Non capisco bene: simili. Tu capisci? Simili agli occhi di chi? In funzione di che cosa? Quale unità di misura? Quale terzo termine? Mi tocco, mi basta per sapere che sei il mio corpo.
Ti amo: le nostre due labbra non possono separarsi per lasciar passare una parola. Una parola che direbbe te o me. O: uguali. Chi ama, chi è amata. Esse dicono – chiuse e aperte, senza che l’una escluda mai l’altra – l’una e l’altra si amano. Insieme. Per produrre una parola esatta, dovrebbero tenersi scostate,. Nettamente scostate l’una dall’altra. Distanti l’una dall’altra, e tra loro una parola. Ma da dove verrebbe questa parola? Tutta corretta, ben fatta. Neanche una fessura.. Tu. Io. C’è di che ridere... senza fessura, non sarebbbe più te nè me. Senza labbra, non sarebbe noi.
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Ti amo – e che mi importano là dove ti amo le discendenze dei nostri padri e i loro desideri di sembianze d’uomo. E le loro istituzioni genealogiche - né marito né moglie. Nessuna famiglia. Nessun personaggio, ruolo, funzione – le loro leggi riproduttive. Ti amo: il tuo corpo là qui ora. Io/tu ti/mi tocchi, può bastare perché ci sentiamo vivere .
Apri le tue labbra, non aprirle semplicemente. Non le apro semplicemente. Tu/io non siamo né aperte né chiuse. [...] Esse non si distinguono. Non significa che si confondano. Non ci capite niente? Neanche loro capiscono voi.
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Parla ugualmente. Che il tuo linguaggio non abbia un filo unico, un’unica sequenza, un’unica trama, è la nostra fortuna. Viene da ogni parte. Mi tocchi in ogni parte. In tutti i sensi. Un canto, un discorso, un testo tutti in una volta, perché? Per sedurre, colmare coprire uno dei miei “buchi”? Non ne ho con te. Le crepe, i vuoti che invocherebbero dall’altro sussistenza, pienezza, completezza, non siamo noi. Che per le nostre labbra siamo donne, non vuol dire che mangiare, consumare, riempirci sia quello che cerchiamo.
Baciami. Due labbra baciano due labbra: l’aperto ci è reso. Il nostro “mondo”. Tra noi il passaggio da dentro a fuori, da fuori a dentro, non ha limiti.[...] Insoddistatte noi? Sì, se vuol dire che non siamo mai finite. Che il nostro piacere è di muoverci, commuoverci, continuamente. Sempre in movimenti: l’aperto non si esaurisce né si riempie.
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Tu/io si sdoppia dunque per piacere loro. Ma così divise in due – una fuori, una dentro- tu non ti baci più. Non mi baci più. Fuori cerchi di conformarti ad un ordine che ti è estraneo.
[...] Non c’è, tra noi, nessuna rottura tra vergine e non vergine. Nessun avvenimento che ci farebbe donna. Molto prima di nascere già ti tocchi, innocente. Il sesso del tuo/mio corpo non ci viene da un operazione. [...] Senza interventi o manipolazioni particolari sei già donna. [...] Secondo [la loro economia] essere vergine significa non essere ancora contrassegnata per e da loro.Non ancora (resa) donna da e per loro. [...]
Come dirlo? Che noi siamo donne subito. Non abbiamo da esser rese tali, nominate per tali, consacrate e profanate come tali, da loro.Lo eravamo già , era già successo prima, senza il loro lavoro. [...] la loro patria, con famiglia, focolare e discorso, ci imprigiona tenendoci al chiuso e impedendoci di muoverci.[...] Le loro parole, il bavaglio delle nostre labbra.
Come parlare per uscire dai loro recinti, schemi, dalle loro distinzioni e opposizioni: vergine/deflorata, pura/impura, innocente/maliziosa...[...] Come sgusciare, vive, dalle loro concezioni?
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Mentre le nostre labbra tornano rosse. Si muovono, vogliono parlare. Stavi dicendo? Cosa? Niente. Tutto. Sì. Abbi pazienza. Dirai tutto. Comincia con quello che senti, adesso, subito. Il tutto verrà di seguito.
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L’erezione non è affare nostro: stiamo così bene sulle spiagge. Abbiamo tanti spazi da distribuirci .
[…] Il cielo non è lassù è tra noi.
Perchè parlare, mi dirai tu? Sentiamo le stesse cose nello stesso momento.
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Se non inventiamo un linguaggio, se non troviamo il suo linguaggio, il nostro corpo avrà troppo pochi gesti per accompagnare la nostra storia.
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Il tuo corpo ricorda non occorre che tu ricordi.
[…]
Sii quello che diventi, senza attaccarti a quello che avresti potuto essere, a quello che potresti essere. Senza essere mai fissata. Lasciamo le cose decisive agli indecisi. Noi non abbiamo bisogno del definitivo.[…]la loro “verità” ci immobilizza, ci pietrifica, se non ce ne distacchiamo.
[...]
Parla ugualmente. Tra noi il “duro” non è necessario. Conosciamo abbastanza i contorni dei nostri corpi per amare la fluidità.
[...]
Bisogna proprio che impariamo a parlarci per riuscire a baciarci da lontano.
[...]
Non piangere un giorno riusciremo a dirci. E quello che diremo sarà più bello delle nostre lagrime.
Fluidissime.
[…]
Tu non sei in me. Non ti contengo né ti trattengo: nel mio ventre, tra le mie braccia, nella mia testa.[…] Sei lì, come la vita della mia pelle. […] Che tu viva mi fa sentir vivere, purchè tu non sia né la mia replica né la mia imitazione.
[…]
Sei sempre commossa per la prima volta, non ti immobilizzi in nessuna forma di ritorno. […]
Senza modello, senza unità di misura, non diamoci mai ordine[…]
Voglio restare notturna e ritoccare in te la mia notte. Dolcemente luminosa.
[…]
Nonostante le molte costrizioni artificiali di spazio e di tempo, io –continuamente- ti abbraccio. Che gli altri ci facciano feticci, per serararci, è affare loro. [...]
E se tante volte insisto: non, né, senza... è per ricordarci che noi non ci tocchiamo se non nude. E che per ritrovarci così, abbiamo molto da svestirci. Da tante rappresentazioni e apparenze, che ci allontanano l’una dall’altra. Ci hanno così a lungo avvolte secondo il loro desiderio, ci siamo così spesso agghidate per piacere loro, che abbiamo dimenticato la nostra pelle. Fuori dalla nostra pelle, restiamo distanti.
Tu ed io scostate.
[...]
Luce Irigaray

This entry was posted on 12.26.2007 and is filed under . You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response.