di Marta Bellingreri da Tunisi
Voler, voiler, violer. Rubare,
velare, violentare. Sono queste i tre comandamenti della Troika
tunisina secondo una della manifestanti oggi presenti davanti al
Tribunale di Tunisi. Donne di ogni età e classe, attiviste/i e
bloggers, liberi cittadini, avvocati si sono infatti riuniti in
sostegno ad una giovane donna tunisina violentata da due poliziotti
la notte del tre settembre scorso, oggi accusata di "oltraggio
pubblico al pudore". La donna, che preferisce mantenere
l'anonimato, è conosciuta sotto lo pseudonimo "Mariam" dai
media e da tutte le sostenitrici.
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Il
malcontento nei confronti del governo dunque non concerne
esclusivamente il ritardo nella stesura della Costituzione, la
situazione economica e la disoccupazione giovanile che lascia la
Tunisia post-dittatura ancora in ansia e in bilico. Questi ormai
quotidiani attentati alle libertà personali, come quello di uscire
la sera con il proprio fidanzato e subire una violenza da parte di
agenti della sicurezza, scatenano la rabbia della socità civile.
Nella notte di ieri intanto, un'attivista e scrittrice del famoso
blog Nawaat.org è
stata bloccata dalla polizia mentre si trovava in macchina con un
ragazzo libanese: gli agenti avrebbero voluta portarla al ministero
con l'accusa di "accompagnamento illegale da parte di uno
straniero". In seguito, sarebbero stati rilasciati. La domanda
è se oggi con l'accusa di immoralità pubblica si voglia intimidire
proprio quelle persone che si sono fatte forti della loro acquisita
libertà d'espressione dopo il regime di Ben Ali.
La giovane donna
tunisina che ha subito la violenza ed il suo fidanzato rischierebbero
sei mesi di prigione per "comportamento intenzionalmente
indecente" dopo che i due poliziotti accusati della violenza
hanno dichiarato di aver trovato i due fidanzati in "posizione
immorale" dentro la macchina. Un terzo poliziotto avrebbe
accompagnato il ragazzo a prendere della benzina, mentre i due agenti
nel frattempo l'avrebbero violentata, prima nella loro auto, una
seconda volta nell'auto dei due giovani, secondo la testimonianza
della stessa vittima.
Violentata dalla
polizia, accusata dalla giustizia, la giovane Mariem ancora sotto
chock si trova dunque al processo con gli aggressori da lei accusati.
Già il portavoce del Ministero dell'Interno, Khaled Tarrouch, aveva
dichiarato colpevole la ragazza qualche settimana fa. Solo oggi
invece, prima che l'udienza finisse, il capo del governo Hamadi
Jabali, in visita a Bruxelles, ha condannato l'atto, difendendo la
giovane: proprio nel giorno in cui ha firmato due convenzioni con
l'Unione Europea per un valore di 37 milioni di euro proprio
nell'ambito della riforma della giustizia e della salute. Non è mai
troppo tardi per difendere una giovane tunisina in seno alla
Commissione Europea. Contemporaneamente il partito islamista al
potere, il Nahda, in una conferenza stampa prevista oggi, ha
finalmente dichiarato il suo sostegno alla giovane.
Ma dalla postazione
di fronte al Tribunale, a pochi metri dalla Kasbah di Tunisi, la
piazza occupata dai giovani tunisini nel febbraio 2011 dopo la caduta
di Ben Ali, le urla si indirizzano proprio contro quel partito al
governo che starebbe permettendo e facilitando un'islamizzazione dei
costumi e della morale anche contro le libertà e i diritti delle
donne, per tanto tempo estranea alla società tunisina, soprattutto
della capitale. "Non siamo mai state estranee a quella parte di
società tradizionale che accusa la vittima di uno stupro come
responsabile o colpevole della violenza subita, ma quando la vittima
è violentata dalla polizia e accusata dallo stato, questa diventa
tortura" s'infuoca un'anziana manifestante venuta con la giovane
nipote. Così come ha affermato il gruppo di Amnesty International
locale: "lo stupro commesso da forze di sicurezza, utilizzato
anche come forma di repressione, costituisce una forma di tortura".
Femme violée, nation violée.
Il richiamo alla rivoluzione "tradita dagli islamisti al potere"
e alla nazione ricorre continuamente nel dibattito di quest'ultimo
affare tunisino e negli slogan dei manifestanti. Secondo l'avvocata
della vittima tutto questo rumore non avrebbe affatto influenzato il
parere della giustizia che ha confermato l'accusa di "oscenità
ostentata premeditata", chiusa l'udienza alle tredici e trenta e
rinviato il verdetto a domani, anche se probabilmente l'affare non
smetterà di infiammare le associazioni di donne, sostenitori e
l'opinione pubblica tunisina. Che, se per il verdetto di Mariam deve
attendere ventiquattro ore, è lungi dall'intravedere gli effetti
positivi della propria rivoluzione.
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