Lettera
aperta al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca
Prof. Francesco Profumo e per conoscenza alla Ministra del Lavoro e
delle Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità Prof.a Elsa
Fornero
Egregio
signor Ministro,
a
scrivere è un gruppo di studiose specializzate negli studi
umanistici, la maggior parte delle quali docente nella scuola e
nell’università. Alcune di noi vivono e insegnano all’estero,
molte altre vi hanno trascorso importanti periodi di formazione
professionale. Siamo perciò abituate a confrontarci con i continui
cambiamenti che interessano le nostre discipline, sia per la scelta
delle metodologie di analisi sia per l’individuazione degli oggetti
di indagine.
Siamo,
in altre parole, cittadine europee pienamente immerse nel nostro
tempo, interessate a partecipare attivamente alla definizione del
modo di essere nel mondo delle generazioni presenti e future. Molte
di noi sono precarie, e si apprestano a far parte dell’esercito di
candidati che si sta preparando a sostenere la procedura di selezione
prevista dal concorso
a posti e cattedre, decreto del direttore generale per il personale
scolastico n. 82 del 24 settembre 2012.
La
nostra decisione di scriverle questa lettera è derivata non
solamente dall’esigenza di manifestare un profondo disaccordo sul
piano intellettuale e scientifico, ma anche dal disagio e dal
disappunto da noi avvertiti in qualità di cittadine, in seguito alla
lettura delle indicazioni
sulle prove d’esame e i relativi programmi contenute nell’allegato
3 del bando di indizione del concorso.
Intendiamo
cogliere questa occasione per riaprire pubblicamente il dibattito
intorno a una questione, quella del genere e della sessuazione del
sapere, che in molti paesi europei è ormai data come punto di
partenza per la pianificazione pedagogica e didattica, ma che per
varie ragioni storiche e culturali non riesce ad essere assunta come
elemento centrale nell’agenda politica (e utilizziamo questa parola
nel senso più ampio e nobile del termine) all’interno delle
istituzioni italiane. In questo senso, il bando riflette le profonde
contraddizioni di una società che continua a mettere in atto
meccanismi sessisti senza riconoscere le trasformazioni del presente,
né le questioni di genere.
Il
bando di un concorso pubblico non si limita solo a indicare procedure
e scadenze. Nel momento in cui fissa i criteri di valutazione,
include o esclude, delinea anche un modello e un’immagine di quello
che sta cercando. Allo Stato servono insegnanti che guidino il
percorso di formazione dei giovani cittadini e delle giovani
cittadine. Ma che caratteristiche devono avere? Il nuovo insegnante e
la nuova insegnante devono innanzitutto avere un sicuro dominio delle
materie di insegnamento, conoscere i presupposti epistemologici delle
singole discipline e conoscere le lingue straniere; devono saper
usare internet e dominare gli strumenti informatici. Appare chiaro
che chi ha stilato il bando avesse in mente un’immagine di
insegnante moderno/a, al passo con i tempi e pronto/a a costruire un
percorso che porti la scuola italiana in Europa. Questo lodevole
intento, però, si scontra miseramente con l’arretratezza dei
programmi ministeriali e delle indicazioni che solo due anni fa sono
state fornite dal ministero per le singole discipline. E il centro di
tale arretratezza sta nella sistematica e persistente ignoranza di
tutto ciò che nell’ambito dell’insegnamento riguarda il genere.
Basta scorrere gli elenchi di autori che il candidato dovrebbe
innanzitutto conoscere: tra i filosofi, nemmeno una donna; tra gli
scrittori, una sola, Elsa Morante; nel programma di storia non c’è
alcun accenno alla storia delle donne e alle questioni di genere; tra
i fatti notevoli del Novecento non è menzionato il femminismo.
Quando si parla di educazione linguistica non c’è nessun
riferimento al linguaggio sessuato. Quando si parla di geografia, non
c’è nessun accenno al genere come categoria di indagine. Quando
nel programma di letteratura italiana si richiede di conoscere i
principali orientamenti critici, l’elenco esemplificativo comprende
i nomi di E. Auerbach (1892-1957), L. (sic!!) Contini (1912-1990), C.
Segre (1928-), B. Croce (1866-1952). E basta. Ancora, niente donne,
ancora nessun riferimento ai gender studies come prospettiva critica
di rilievo. Le istituzioni hanno di nuovo preso la parola su un
modello di scuola, di apprendimento e di insegnamento. Riteniamo che
sia giunto il momento di denunciare con forza come lo Stato continui
a comunicare un’idea di sapere nel quale le donne e la differenza
sessuale non trovano posto e la questione della relazione tra uomini
e donne non è nemmeno minimamente sfiorata, anzi è del tutto
rimossa. Che genere di formazione per i cittadini e le cittadine,
quando i programmi sui quali questa si fonda pretendono ancora di
presentare la finzione di un sapere neutro, asessuato? In che modo
formare giovani cittadine forti e consapevoli, quando tutto il mondo
a scuola non parla di loro, non parla a loro?
Si
potrebbe obbiettare che le ultime Indicazioni nazionali ribadivano il
principio, peraltro sancito dalla Costituzione, dell’autonomia
dell’insegnamento, e della conseguente facoltà di ogni insegnante
di adottare e promuovere quegli approcci e indirizzi epistemologici
che ritenesse più validi all’interno della propria disciplina.
Sarebbe un’obiezione assai debole, perché è evidente che
questioni di tale rilevanza sociale e culturale non possono essere
relegate solamente nell’ambito della tutela dei diritti e della
libertà individuale o del principio dell’autonomia scolastica.
Sulla base dei parametri indicati dal bando, il sapere di un/una
insegnante attento/a ai meccanismi di genere, che determinano la
formazione della tradizione e la storica scomparsa o
marginalizzazione delle donne, costituirebbe un elemento accessorio,
non essenziale rispetto al bagaglio di competenze che renderebbero
costui/costei idoneo/a all’esercizio della professione. Allo Stato
dunque non interessa che chi insegna sia in grado di e voglia
spiegare in maniera rigorosa e scientificamente aggiornata i
meccanismi che hanno portato, per esempio, ad avere un canone
letterario in cui tra trentacinque scrittori elencati solo una donna
è stata ritenuta degna di menzione?
Una
scuola per l’Europa non può lasciare le questioni di genere
ufficialmente fuori dalla porta. La domanda che le poniamo è dunque:
non le sembra giunto il momento di smettere di farle entrare dalla
porta di servizio?
Laboratorio
di studi femministi «Anna Rita Simeone»
Sguardi sulle
differenze
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