Da Liberazione
di Gaia Maqui Giuliani
Violenza simbolica vs. violenza fisica. La violenza simbolica è quella di frasi dette, nelle trasmissioni, nei talk show, sulle pagine de Il Foglio , ripetute, ostentate e poi urlate durante il comizio di ieri a Bologna. Frasi che suonano come “vi piacciono un miliardo di aborti?”, “noi siamo per una cultura della vita e non della morte”. Frasi che scatenano la rabbia e lo sgomento nelle persone che hanno vissuto l'esperienza dell'aborto, o l'hanno vissuta in seconda persona come madri, amiche, sorelle, figlie. Come compagni, fratelli, padri, amici. Una violenza simbolica che appare insopportabile, perché continuamente amplificata da una serie di attori sociali che non si limitano al duetto Giuliano Ferrara e Giovanni Salizzoni (capolista emiliano di "Aborto? No, grazie"), ma che vanno dal pontefice al prete nella parrocchia locale, dall'operatore del Movimento per la vita nel consultorio, al personale scolastico, convinto che l'educazione sessuale e l'informazione sui contraccettivi siano un "tabù" e che la scuola non sia il luogo adatto per un discorso serio sulla prevenzione.
Una violenza simbolica e discorsiva che poi diviene violenza reale, con conseguenze pesanti sulla vita delle persone, quando, all'occasione, l'obiettore di coscienza rende impossibile il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza o l'assunzione dell'RU486, o quando l'amministrazione locale non apre o dismette i consultori territoriali, lasciando le donne da sole.
Violenza intesa come impossibilità a scegliere, come negazione dell'ultima scialuppa di salvataggio a chi, malcapitata, non ha potuto o non è riuscita a tutelarsi da una gravidanza indesiderata o capisce di non essere abbastanza forte da mettere al mondo una creatura con problemi fisici e mentali.
Questa violenza, che disciplina corpi e pensieri, che mortifica e colpevolizza chi sceglie di non diventare madre buttandole addosso l'accusa di "omicidio" e paragonando la sua azione alla pena di morte è stata accolta, ieri in Piazza Maggiore a Bologna, da una "violenza" caotica ma compatta, fatta di urla, mani alzate con indici e pollici a forma di vagina, e lancio di pomodori e uova. Una "violenza" tumultuosa, sgangherata talvolta, fatta di disorganizzazione e spontaneità. E, se anche c'era stato un progetto di contestazione, rimbalzato nelle liste on-line e in un'assemblea che aveva chiamato a raccolta spazi sociali autogestiti e alcuni gruppi di donne, le transenne che circondavano la piazza - innalzate come se si trattasse di bloccare l'assalto dei lebbrosi al palazzo di cristallo - rendevano quello stesso progetto tutt'altro che ben organizzato.
La Rete delle donne di Bologna, e tutti i collettivi e le realtà femministe e lesbiche che ad essa fanno riferimento, non aveva ritenuto giusto dare al duetto antiabortista alcuna possibilità di accrescere, mediante la contestazione, una visibilità che altrimenti si sarebbe concretizzata in quattro anziani, i classici quattro astanti che chiacchierano di politica di fronte alla basilica di San Petronio. E avevano visto giusto: lasciar rimbombare nel vuoto di una piazza deserta quelle frasi intimidatorie rivestite da retorica salva-vita sarebbe stato forse lo smacco più grande. Piuttosto, la Rete, che lo scorso 8 marzo aveva portato in piazza quattromila persone, avrebbe desiderato costruire, con alcuni dei soggetti presenti alla contestazione, un percorso di lotta duraturo e condiviso e non un'azione schiacciata sull'evento della presenza del duetto a Bologna. Ma molti non hanno resistito e sono andati comunque a contestare o solo a dare un'occhiata. Erano soprattutto uomini, e uomini eterosessuali, e tra le donne, la maggior parte erano ragazze molto giovani. A quella "violenza" caotica ha risposto una violenza che faceva e fa il paio, perfettamente, con la violenza epistemica del discorso antiabortista: quella dei poliziotti sotto il palco e dei carabinieri nella adiacente Piazza del Nettuno. I primi, così come i secondi, hanno caricato a freddo, una, due, tre volte, colpendo chi, armato di pomodori e bottigliette d'acqua, come le ragazze-mignon in prima fila sotto al palco, si è accasciato sotto i colpi dei manganelli dei poliziotti-armadio.
In tal senso la libertà di espressione non è stata violata nel senso descritto da Miriam Mafai sulle colonne del quotidiano La Repubblica : alla presenza del duetto antiabortista, è corrisposta infatti una contestazione non solo prevista, ma voluta dagli stessi organizzatori del comizio. Basti dire che l'ufficio stampa di "Aborto? No, grazie" aveva mandato una email nella lista della Rete delle donne di Bologna, perché voleva, pretendeva, che vi fosse contestazione. Per questo alcuni gruppi femministi avevano deciso di fare altro, come ripetere l'azione "Adotta un consultorio" e affiggere, la notte prima, sui muri della città delle vignette con "pensierini" in difesa dell'autodeterminazione delle donne. Piuttosto quella stessa libertà è stata "ripartita in modo diseguale": picchiare persone con il manganello rovesciato in risposta ad una frittata fatta di urla, uova e pomodori dovrebbe far riflettere sulle modalità d'accesso (differenziato) alla libera espressione e sul livello di esasperazione che aleggia nel Belpaese e che è diretta conseguenza della (considerata lecita) violenza simbolica del continuo attacco alle conquiste delle donne.
4/04/2008
A Bologna libertà violata ma non dalla frittata anti-Ferrara
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