Viveva in una regione dispersa della Persia, era una ragazzina abbastanza vivace ma nello stesso tempo molto introversa, in quell' età nella quale la voglia di indipendenza ed autonomia è forte ma si sente la fragilità ed innocenza di quell' infanzia che non vuole andarsene.Viveva in una comunità lontana da ogni forma di modernità soggetta spesso ad aggressioni da parte di altre comunità nomadi che la lasciavano con ferite che nemmeno le tempeste di sabbia potevano cancellare.
Un giorno, dopo l'ennesimo saccheggio, lei, nascostasi in una tana, sopravvissuta così all'attacco, uscì convinta che questa non sarebbe stata la sua condizione.Si fece coraggio e da sola si incamminò.Forse non fu una scelta pensata in passato ne in quel momento ma uscì e cominciò a camminare come se quella via lunga e senza meta fosse l'unica strada percorribile in quell' istante.
Dopo un lungo viaggio costellato da pensieri, caldo, sogni, paure, terra, arrivò ad una città che già da lontano mostrava di essere tale con i suoi rumori che sembravano dire in continuazione "Siamo parte di questo mondo, Dio ci tiene in considerazione".
Entusiasta di questa nuova dimensione iniziò a conoscerla con quella curiosità tipicamente infantile, con quegli occhi spalancati e lucidi che non credono a quello che vedono.Ogni giorno nelle vie polverose di Afsoon c'era il mercato con venditori esasperati che schiamazzavano dietro le bancarelle, con mille colori dei più disparati, con diversi odori nauseanti ed inebrianti.
Le sue giornate le trascorreva in giro e dopo un pò di tempo imparò le regole del "gioco", il linguaggio della strada.
La notte tornava nella sua casa, due pareti ed un tetto che la proteggeva dalle intemperie e sotto il quale poteva immaginarsi uno spazio tutto suo.Quando calava il sole si rifugiava lì immersa nella sua solitudine e quando quest'ultima si faceva sentire arrivava lei la lametta.Molte volte successe, prendeva questa lametta e disegnava sulle sue braccia piccole lignette.Si tagliava come se solo in quel modo potesse sentire di essere viva, il dolore di essere viva, di quella carne che non sapeva come esprimersi se non nell' autolesionismo.
Conosceva tutti in città, aveva varie amicizie ed era stata con vari ragazzi ma in queste relazioni si parlava sempre di come guadagnarsi il pane, di come rubare un foulard o di quanto era carino il ladruncolo nuovo venuto da sud.
Una sera tornata a casa trovò una ragazza sotto la sua coperta, si spaventò ed alterata da quel incontro inaspettato chiese: "Chi sei?". La ragazza non rispose, la guardava immobile senza nessuna reazione.Dopo alcune domande capì che la ragazza non parlava, forse era muta chissà, non aveva nemmeno un nome, probabilmente aveva deciso di dimenticare il suo passato, la sua storia.Dopo questo primo incontro un pò spiazzante le due ragazze divennero amiche, facevano tutto insieme.Parlavano a gesti ed il silenzio che c'era tra loro non pesava minimamente.Dormivano sotto la stessa coperta abbracciate, quella nuova ragazza le insegnò ad accarezzare, a stringere la mano e proprio quel silenzio che pareva un abisso le dette lo spazio per raccontarsi per la prima volta: la sua famiglia, da dove veniva, quello che sentiva...ed alla fine di quelle parole difficili ed ostinate la risposta fu un accenno di sorriso ed un abbraccio che in quel momento sembrava la cosa più importante.
Continuò così la vita di strada in due.Imparò questi nuovi gesti, i piccoli sorrisi, il capirsi con uno sguardo, il raccontarsi accettandosi per un istante.Ma continuò anche il dolore, la sofferenza, quei tagli e quell' ostinata voglia di sentirsi viva.
Un giorno tornata a casa non trovò la sua nuova amica, la aspettò seduta ansiosa di abbracciarla e raccontarle come era andata la giornata.Il sole scomparve e lei non tornò.In un istante capì che non sarebbe tornata, che non l’avrebbe più vista. D’altronde non sapeva bene chi fosse, non sapeva nemmeno il suo nome.Si rese conto di non aver conosciuto una nuova persona ma se stessa.Scoppiò a piangere disperata.Prese un pezzo di specchio che trovò per terra.Si guardò per la prima volta e non si riconobbe in quel immagine.
Quelle lacrime così pesanti di chi erano?
Prese la lametta.La tenne in mano dei secondi e poi la gettò.Gettò lo specchio.Accennò un sorriso.
Sì era Benazir: colei che non si era mai vista così.
Andò fuori e si sedette ad ammirare le stelle.
Benazir Ludmila
This entry was posted on 12.26.2007 and is filed under Storie Benazir. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response.
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